LA VIOLENZA DEL MOVIMENTO FASCISTA                      


PRIMA - PRIMA, PERCHE' SIA CHIARO - FU LA VIOLENZA ANTIITALIANA E DI CLASSE. POI - POI, PERCHE' SIA CHIARO - SEGUI' LA VIOLENZA FASCISTA ...ED ANTIFASCISTA, ASSAI MAGGIORE DI QUELLA FASCISTA (COME SI QUANTIFICA DAL NUMERO DEI CADUTI). LA VINSERO I FASCISTI... EVITANDOCI 80 ANNI DI PARADISO COMUNISTA.
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DALLA MARCIA SU ROMA ALL'ASSALTO AL LATIFONDO. Cap. IX. Guido Mussolini e Filippo Giannini
 
 
    Abbiamo sommariamente ricordato l’impresa fiumana, perché necessario nel contesto degli avvenimenti, ma anche perché in quella città fu redatta la "Carta del Carnaro". Questo "impianto costituzionale" di chiari principi di modernità e originalità, fu concepito dal sindacalista Alceste De Ambris e da D’Annunzio.
    Il giornalista Gaspare Ambrosini nel 1925 affermò che "la Carta di Libertà del Carnaro, cioè la Costituzione promulgata l’8 settembre 1920 dal Comandante Gabriele D’Annunzio, può considerarsi come fondamentale per tutti gli studi sui sistemi sindacali (...). La Costituzione dannunziana presenta una concretezza di ordinamenti veramente ammirevoli".
    Altra interessante innovazione contenuta nella "Costituzione fiumana" fu la proposta di istituire tre camere differenziate: "Consiglio degli Ottimi" (Camera Politica); Consiglio dei Provvisori (Camera Corporativa); Gran Consiglio Nazionale (Assemblea comune delle due Camere e con proprie attribuzioni).
    Quanto la mistica fascista assorbirà dal pensiero di De Ambris e di D’Annunzio è ben riportato da De Felice che osserva: "(I due Autori) volevano prospettare agli "uomini nuovi" usciti dal travaglio della guerra una soluzione organica e al tempo stesso non meramente tecnica ma, al contrario, emotivamente suggestiva - diversa sia da quella democratico-borghese, sia da quella sovietica - in grado di rispondere alle loro attese di rinnovamento politico-sociale".
    Non possiamo passare oltre senza citare l’articolo IX della "Carta del Carnaro" che recita: "Lo Stato non riconosce la proprietà come dominio assoluto della persona sulla cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali. Nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può essere lecito che tale proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente, ad esclusione di ogni altro". 
    Concezioni che incontreremo più avanti.
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    Sono gli anni (1919-1920) che risentono gli effetti del tempo passato gomito a gomito nel fango delle trincee, sono gli anni della cementata saldatura fra intellettuali e popolo, ma sono anche gli anni dei grandi fermenti che sfociano in sommosse e rivoluzioni: gli anni dei Soviet in Sassonia e Turingia, del tentativo di Rosa Luxemburg di portare la rivoluzione rossa nella cattolicissima Ungheria, della sanguinosa repressione "spartachista" di Berlino.
    Nei primi mesi del 1919 è la volta della Baviera; un governo rivoluzionario si instaura a Monaco, guidato da Kurt Eisner.
    Sembrava che nulla potesse fermare la solerte politica del Komintern (6/1). In Italia, il 29 luglio l’anarchico Bruno Filippi, che sognava "la rivoluzione sovietica", fece esplodere alcune bombe proprio a Piazza Fontana, a Milano. Altre bombe dello stesso Filippi a Via Paleocapa, poi al Palazzo di Giustizia, sempre a Milano. E ancora nel capoluogo lombardo, sempre ad opera dell’attivissimo anarchico, una nuova bomba il 31 agosto. Infine, lo stesso attentatore, nel porre un nuovo ordigno, il 7 settembre a Palazzo Marino, per motivi ignoti, gli esplose in mano dilaniandolo. 
    Né gli attentati cessarono con la morte del Filippi; infatti altri gravi episodi di terrorismo funestarono la vita italiana. Il più grave ebbe luogo la sera del 23 marzo 1921, quando una bomba esplose nel teatro Diana a Milano, causando la morte di 21 spettatori e il ferimento di un altro centinaio.
    Per avere un’idea di quale fosse il clima di quegli anni è sufficiente portarsi in quella che era considerata una delle zone più calde. La Nazione di Firenze il 2 marzo 1921 titolava: Le strade di Firenze insanguinate dalla guerra civile. Il giornale riportava che verso la fine di febbraio e i primi di marzo del 1921 "giorni di rivolte armate e di conflitti tragici si conclusero con un bilancio di diciotto morti e oltre cinquecento feriti". Il giorno dopo, altri quindici morti e cento feriti.
    Nell’interno del Partito Socialista si rafforzava l’ala massimalista, cioè quella corrente che propugnava il programma massimo per rovesciare il sistema capitalistico e che porterà poi al cosiddetto "biennio rosso" che, avvalendosi delle tensioni sociali, provocherà l’incremento della violenza, quest’arco di tempo passerà poi alla storia come quello della "occupazione delle fabbriche". L’esito di questa prova di forza portò certamente alcuni vantaggi economici agli operai, ma i sindacati di sinistra più di tanto non furono in grado di ottenere. Questo accadeva mentre le squadre fasciste stavano raggiungendo il più alto grado organizzativo.
    Non meraviglia, quindi, stando a quanto rivelano in questi giorni gli Archivi Nazionali di Washington, circa un tentativo, posto in essere in quegli anni: di mettere al sicuro il "tesoro di San Pietro" e trasferirlo dalla Santa Sede nei forzieri USA.
    Come si giunse a tanto?
    È certo, come abbiamo già accennato, che da Vladimir Ilic Ulianov (Lenin) partivano messaggi incitanti al terrorismo. L’ordine era di essere "implacabili in modo esemplare (...). Bisogna incoraggiare il terrore di massa (...). Fucilate senza domandare niente a nessuno e senza stupide lentezze (...). La dittatura è un potere che poggia sulla violenza, senza vincoli di legge (...)". Sono solo alcuni estratti del Komsomolskaja Pravda, riportati da Andrea Bonanni, corrispondente a Mosca del Corriere della Sera. A queste direttive, come abbiamo, anche se sommariamente accennato, l’Italia trovò masse diseredate che, aspirando ad una più equa giustizia sociale, fecero proprie le indicazioni che provenivano da Est.
    A questo punto cerchiamo di estrarre un quadro di quegli avvenimenti per poterne trarre le conclusioni.
    Per prima cosa, si deve chiaramente affermare che il Governo non era in grado di intervenire efficacemente per annientare la violenza e riportare l’ordine. Questa incapacità si spiega ricordando che in tre anni si cambiarono sette governi e cioè: dal governo Orlando si passò a quello di Nitti (23/6/1919 al 21/5/1920); di nuovo Nitti (21/5/1920 al 15/6/1920); Giolitti (15/6/1920 al 4/7/1921); Bonomi (4/7/1921 al 26/2/1922); Facta (26/2/1922 al 1/8/1922); di nuovo Facta (1/8/1922 al 31/10/1922). 
    Tutto ciò denota la grave crisi che attanagliava lo "Stato liberale" e, conseguentemente, la sua incapacità a controllare una situazione di guerra civile che andava di giorno in giorno sviluppandosi sempre più sanguinosamente.
    L’essersi posti contro i combattenti fu il grave errore dei socialisti prima e dei socialcomunisti poi. Da questi reduci, spontaneamente, nacquero le prime squadre combattentistiche per opporsi alle azioni di quelle "rosse". Quindi i primi scontri non avvennero fra "fascisti" e "rossi", in quanto il fascismo non era ancora nato, o era in stato embrionale. Infatti, come abbiamo scritto, i "Fasci di Combattimento" videro la luce il 23 marzo 1919. Le prime azioni di "chiara marca fascista" avvennero dopo il 17 novembre di quell’anno, data della pesante sconfitta elettorale subita dal movimento mussoliniano. È da ricordare che nei primi scontri i fascisti furono sommersi dal gran numero degli avversari e molti comizi di Mussolini e dei suoi furono sciolti per i gravi incidenti provocati.
    Poco sopra abbiamo parlato di "grave errore dei socialcomunisti" nell’attaccare i reduci e la spiegazione è semplice: gran parte dei fascisti e dei loro alleati nazionalisti provenivano da una lunga, dura disciplina militare: erano quindi avvezzi ad obbedire secondo un ordine gerarchico. Al contrario, dall’altra parte, il disordine regnava assoluto (salvo rare eccezioni) e specialmente fra gli anarchici la disciplina era disprezzata; di conseguenza fu possibile conquistare le piazze e il favore dei contadini, stanchi dei soprusi ai quali erano sottoposti dall’arroganza delle "cooperative rosse".
    Infine, ma non ultima considerazione: il Paese era stanco di disordini e sangue, anelava a rientrare nella normalità. Questo fenomeno è evidenziato dal consenso che in breve tempo acquisì il movimento mussoliniano: gli 88 "Fasci" diventarono 834 e i 20 mila iscritti oltre 250 mila. Né questo fenomeno andava estinguendosi, anzi si stava sviluppando, divenendo un "movimento di massa" fortemente radicato nel mondo del lavoro, tanto che i sindacati fascisti potevano contare su circa 400 mila contadini iscritti e su 200 mila operai. A ciò va aggiunto, come abbiamo ripetutamente posto in evidenza, che il movimento era meglio organizzato. 
    Certamente il fascismo fu un movimento che usò la violenza, ma della validità di questa danno attestato alcuni autori che, almeno attualmente, non possono essere accusati di simpatie per il movimento mussoliniano. Scrive Giorgio Bocca ("Mussolini socialfascista") che il fascismo fu violento e sopraffattore, ma lo fu perché trovò davanti a sé una sinistra antidemocratica, violenta, autoritaria e sopraffattrice. Anche il giornalista inglese Percival Phillips, corrispondente del Daily Mail, che visse per lungo tempo in Italia e, in particolare, in quegli anni, ecco come ricorda quegli avvenimenti: "Essi (i fascisti) combattevano il terrore rosso con le stesse armi. Compivano rappresaglie che turberebbero quei pacifisti che vogliono la pace a tutti i costi. Ai sistemi di Mosca risposero con i sistemi fascisti. Ma non imitarono i sistemi comunisti, di gettare vivi gli uomini negli altiforni, come fu deciso a Torino da un tribunale rosso composto in parte da donne, né torturarono i prigionieri come fecero in altre parti d’Italia i seguaci di Lenin".
    Di non dissimile parere era lo stesso De Gasperi; infatti su Il Nuovo Trentino, il 7 aprile 1921, così scrisse: "Il fascismo fu sugli inizi un impeto di reazione all’internazionalismo comunista che negava la libertà della Nazione (...). Noi non condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle situazioni in cui la violenza, anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè legittima".
    In fatto di "violenza" non erano da meno i "moderati". Il cattolico Guido Miglioli, uno dei fondatori del Partito Popolare (precursore del "cattocomunismo") in Vita Italiana, 15 marzo 1922, così manifestò il suo pensiero: "Faremo fare agli agrari la fine di Giuda: li appenderemo coi piedi in su e la testa in giù agli alberi delle nostre terre: squarceremo il loro putrido ventre da cui usciranno le grasse budella turgide di vino. E nelle contorsioni dell’agonia noi danzeremo intorno non la danza della vendetta, ma la danza della più umana giustizia (...). E i fascisti, delinquenti, scherani, lanzichenecchi, assoldati all’agrario, seguiranno l’eguale sorte" Miglioli morì nel 1954 nella sua Milano di Piazzale Loreto dove, certamente, avrà avuto la ventura di veder soddisfatti i suoi auspici.
    In un suo studio Antonio Falcone [5,20] osserva: "In un certo senso si può dire che i fascisti la violenza non tanto la imposero quanto la subirono. Lo dimostra il numero dei loro caduti, che fu di gran lunga superiore a quello degli avversari. Secondo Roberto Forges-Davanzati (7/1), le vittime fasciste, tra morti e feriti, si contano a centinaia, mentre quelle avversarie si contano a decine. Nel 1924, uno degli anni più "caldi", specialmente nei mesi che precedettero e seguirono le elezioni legislative, caddero una ventina di fascisti e ne furono feriti almeno 140, mentre nella parte avversa si ebbe un solo morto". 
    Falcone continua: "La sproporzione si spiega col fatto che, mentre gli squadristi cercavano lo scontro frontale e aperto, i rossi conducevano la loro lotta a forza di imboscate e di attentati. Se poi opponendo violenza a violenza, furono i fascisti ad avere il sopravvento, ciò non fu perché fossero più violenti, o numericamente più forti (che anzi era tutto il contrario), ma solo perché erano molto meglio organizzati e quindi più efficienti".
    Scritti sul Fascismo, Gaetano Salvemini, nonostante il suo radicato antifascismo, nel 1° Volume, pag. 38, l’Autore annota che tanta violenza poteva aver luogo per l’incapacità delle forze dell’ordine e della magistratura e "dallo strapotere tracotante e capriccioso dei sindacati rossi".
    Per completare il quadro generale degli anni che vanno dal 1919 al 1922, è opportuno riportare la testimonianza del professor Ardito Desio che in una intervista concessa alcuni anni fa, così rispose ad una domanda di un giornalista: "Il fascismo ha avuto molti aderenti, dopo la fine della prima guerra mondiale, fra noi ufficiali perché si viveva in un clima di puro terrore. Si subivano pestaggi, bastonature. Numerosi furono assassinati per il solo fatto di portare le stellette. Il fascismo portava il rispetto civile, l’ordine, il rinnovato senso della Patria ed è per questo che ha avuto un gran seguito".
 
 
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DALLA MARCIA SU ROMA ALL'ASSALTO AL LATIFONDO. Guido Mussolini e Filippo Giannini
Anno di Edizione: 1999. Greco&Greco editori. (Indirizzo e telefono: vedi EDITORI)

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